- Accedi o registrati per inserire commenti.
FOCUS 2 - Chi sono i venditori di sostanze psicoattive sulle darknet?
Alessandro De Pascale*
Per cercare di capire meglio il profilo e la filosofia dei venditori di sostanze psicoattive nei market delle darknet, nel 2014 sull’International Journal of Drug Policy è stato pubblicato un apposito ma ormai datato studio guidato da Marie Claire A. Van Hout della Liverpool John Moores University, dall’emblematico titolo “Venditori responsabili, consumatori intelligenti: Silk Road, la rivoluzione online nel commercio di droga” (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0955395913001722).
La ricerca si è basata sull’analisi del primo e più grande market del web sommerso, Silk Road, chiuso nel 2013 ma al quale durante la sua attività hanno avuto accesso oltre un milione di persone. Sul servizio interno di messaggistica, i ricercatori hanno somministrato questionari a 10 suoi venditori. Un campione esiguo, calcolando che è arrivato ad avere ben 3.877 account di fornitori, ma che ha ugualmente fornito risultati interessanti. Se non addirittura gli unici di questo tipo disponibili. I venditori contattati si sono innanzitutto definiti consumatori «intelligenti e responsabili» di droghe, da qui il titolo della ricerca. Quindi oltre a fornire sostanze ad altri sono loro stessi ad utilizzarle. Volendo provare a tracciarne un profilo, dal sondaggio emerge che la maggioranza degli intervistati è di sesso maschile (9), poco più della metà (6) di età compresa tra 30 e 39 anni, nonché lavoratori o con un buon livello di istruzione, due dei quali di tipo universitario. Un ritratto, quello di un maschio, giovane (a volte studente), intelligente ed esperto di tecnologia, confermato 2 anni dopo anche delle interviste effettuate dalla sezione europea della californiana Rand Corporation per un suo studio, nonché da indagini delle forze dell’ordine (https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR1607.html). Tornando ai 10 questionari della ricerca Van Hout e altri, alla base della decisione di operare online, risulterebbe esserci «la semplicità nella creazione di un account venditore e l’opportunità di operare all’interno di un’infrastruttura nel deep web sicura e anonima, a basso rischio, con traffico e mark-up (rapporto tra costo del bene e prezzo, ndr) elevati». Al centro della scelta anche «la cultura online che incorporando i valori della riduzione del danno, li attirava in termini di vendita responsabile e dell’uso di prodotti di alta qualità testati personalmente».
A questo si aggiunge «l’approccio professionale nella gestione delle attività di Silk Road e la dedizione verso la fornitura di un servizio di qualità, caratterizzati da pubblicità, comunicazione e visibilità sulle pagine del forum, invio rapido di prodotti leggermente sovrappeso, prezzi competitivi, buone tecniche di occultamento e sforzi per evitare controversie con i clienti, istruiti a agiati economicamente».
Infine, «i venditori sono apparsi soddisfatti dalla domanda di acquirenti abbastanza costante, descrivendo un mercato relativamente competitivo tra attori del mercato di piccole e grandi dimensioni». Le uniche «evidenti preoccupazioni» erano «legate all’instabilità dei Bitcoin», la criptomoneta usata per gli scambi, il cui valore e cambio possono variare rapidamente anche di molto, essendo affidati al libero mercato e quindi alle forze della domanda e dell’offerta.
Immagine 1: Il profilo venditori/acquirenti tracciato dalla Rand Corporation
Un intero capitolo di una pubblicazione del 2016 dell’Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze dell’Ue (Emcdda), la prima dedicata interamente al mercato delle droghe su internet, è sulle interviste agli utenti di Silk Road realizzate da Eileen Ormsby, giornalista investigativa australiana esperta di cybercrimine, privacy e sostanze illecite (http://www.emcdda.europa.eu/system/files/publications/2155/TDXD16001ENN_FINAL.pdf).
Il primo dato che emerge è ancora una volta di tipo demografico: i fornitori del market in questione erano principalmente uomini dai 20 ai 40 anni d’età e molti di loro per un breve periodo avevano già venduto sostanze in strada, principalmente ad amici, senza aver mai prima d’allora sognato di occuparsene a livello professionale, soprattutto perché non ritenevano di avere la stoffa per poter aver a che fare con criminali temprati. Le darknet gli consentivano viceversa di poterlo fare a distanza, in modo anonimo e sicuro. Nel mercato tradizionale «i commercianti dovevano non solo diffidare dei clienti, che potevano usare la violenza per derubarli delle loro merci, ma molti di loro hanno scoperto che i consumatori abituali di droghe potevano diventare irritanti quando cercavano di ottenere rapidamente sostanze. Conoscevano indirizzi e numeri di telefono dei loro fornitori e pretendevano fossero disponibili giorno e notte. Silk Road invece ha offerto loro l’opportunità di gestire gli ordini convenienti e garantire priorità a quelli dei migliori clienti», spiega ancora la ricerca. Con affari che sembra andassero ugualmente a gonfie vele. La maggior parte dei venditori aveva infatti dovuto mettere in piedi una piccola squadra per poter stare al passo con la domanda: c’era chi riceveva gli ordini, chi manteneva il rapporto con gli acquirenti (messaggi e controversie), chi confezionava e chi spediva la merce. Quelli che gestivano gli affari al computer, non possedevano mai materialmente le sostanze.
Per tutti i venditori, si legge ancora nella ricerca, «la motivazione principale per vendere su Silk Road era la redditività». Un fornitore intervistato all’inizio del 2012 ha rivelato di aver raggiunto «un fatturato di oltre 4.000 dollari al giorno, il 75% dei quali sono stati profitto». Un altro che «il suo guadagno per la sola cocaina era di 20mila dollari al mese». Del resto «un venditore che si era costruito una solida reputazione poteva aspettarsi centinaia di ordini al giorno». Motivo per cui «tutti i fornitori concordavano sul fatto che il sistema di commissioni che gli addebitava Silk Road (il 6-12% a transazione) era giusto e ragionevole». Uno di loro ha esplicitamente ammesso: «Sono entrato nella Top Ten e lasciatemi solo dire, ottimo denaro! Potrebbero anche imporre il 50% di commissioni e farei ancora una strage (economica, ndr)». Tornando alle statistiche, nel 2016 lo studio Rand registrava un numero di transazioni per l’acquisto di sostanze illecite sui market triplicate a partire dal 2013, con i guadagni raddoppiati nello stesso periodo preso in considerazione. Il profitto non è tuttavia l’unico motivo che spinge gli utenti a ricorrere alle darknet, visto che lo si può ugualmente ricavare vendendo droga attraverso i canali tradizionali. Molti studi e ricerche che analizzano le motivazioni alla base di questa scelta, alcuni dei quali riportati anche dalla Rand, indicano la condivisione delle ideologie libertarie di questo cyberspazio, quali il diritto a scegliere cosa consumare, la libertà individuale, l’antiproibizionismo, la riduzione del danno e l’anarcocapitalismo.
Immagine 2: Paesi di provenienza e profitti mensili dei venditori (Rand Corporation)
L’altra questione importante riguarda i meccanismi che generano fiducia verso questo mercato, quella che un cliente ripone in un determinato venditore, che nel cyberspazio non incontrerà mai di persona, la cui identità è celata dal sistema e al quale pagherà la merce in criptovaluta, in attesa di vedersela consegnare per posta.
Essenziale per il funzionamento di un marketplace (legale o meno) è il “sistema di reputazione”. Anche «nei cryptomarket questo problema è stato mitigato usando vari sistemi che attribuiscono una reputazione, come rating, feedback e recensioni di prodotti e fornitori, pubblicati sugli stessi market, nei loro forum o sui social media», si legge ancora nel citato report dell’osservatorio dell’Ue, stavolta in un capitolo scritto da Joseph Cox, giornalista tedesco esperto di cybersicurezza, deep web e industria della sorveglianza che ha partecipato a numerose edizioni del Festival internazionale del giornalismo di Perugia. A suo dire, come per eBay, «questi sistemi di reputazione forniscono agli acquirenti informazioni abbastanza affidabili (…) in merito alla qualità del singolo prodotto e possono aiutarlo a costruirsi un quadro generale sull’affidabilità o meno di un venditore di sostanze». Poiché, come riporta correttamente un report sulle darknet realizzato nel 2017 dal progetto di riduzione del danno Baonps (Be aware on night pleasure), finanziato dall’Ue e attivo per 18 mesi in Italia, Germania, Portogallo e Slovenia, «l’elemento di garanzia può essere trovato nella selezione che il Cripto Market attua nei confronti dei venditori» (http://baonps.coopalice.net/wp-content/uploads/2019/04/BAONPS_WEB_cross_national_report_def.pdf). Per aprire un “negozio” su AlphaBay (chiuso nel 2017) andavano ad esempio accettate 8 regole. «I venditori - si legge nella ricerca di Baonps - sono costretti a rispettare delle norme, pena l’esclusione dal criptomarket». Le regole riguardano ad esempio «il divieto di incassare denaro prima che la merce sia stata consegnata, generalmente infatti è l’amministratore del market che trattiene gli importi finché la transazione non è terminata». Inoltre, «se un venditore riceve un alto numero di accuse di truffe, sarà bandito dal market. A garanzia del rispetto di queste regole, per entrare nello spazio commerciale il venditore deve versare una quota pari a 200 dollari, che può essere trattenuta se viola le norme».
Dal canto loro, «i compratori possono non solo leggere una breve descrizione riguardante il business del venditore, ma soprattutto, come avviene anche nei market più popolari presenti sul web normale, affidarsi al ranking, cioè vedere, per ogni venditore, il totale delle recensioni positive, neutre o negative lasciate dagli acquirenti». Un punteggio che, ovviamente, si basa principalmente su 4 parametri: qualità, prezzo, puntualità delle consegne e modalità di spedizione.
Immagine 3: La scheda di un venditore su Reddit (Emcdda)
Riguardo alla geografia dei venditori, vari studi scientifici riportano la nazione in cui i venditori dei market delle darknet segnalano di operare. La citata ricerca della Rand ne prende in considerazione 6. Incrociando i dati disponibili, la compagnia californiana conferma «l’importanza del ruolo degli Stati Uniti e del Regno Unito, seguiti da diversi Paesi, tra cui i Paesi Bassi». Nel 2013 è stato ad esempio realizzato uno studio, ancora una volta su Silk Road, presentato proprio quell’anno all’International World Wide Web Conference (https://www.andrew.cmu.edu/user/nicolasc/publications/TR-CMU-CyLab-12-018.pdf). Calcolava che le 5 origini di spedizione più frequenti, presenti nelle inserzioni, erano per l’appunto gli Usa (43,83%), non dichiarata (16,29%), Regno Unito (10,15%), Paesi Bassi (6,52%) e Canada (5,89%).
Nel cercare tre anni dopo di aggiornare quei dati, analizzando la provenienza dei 3.846 venditori allora attivi in 8 market, la Rand ha riformulato quell’elenco: Stati Uniti (890), Regno Unito (338), Australia (185), Germania (225), Olanda (225), Canada (146), Francia (68) e Spagna (30). Tuttavia, in termine di concentrazione, «i Paesi Bassi risultano al primo posto (13,4 venditori per milione di abitanti), rispetto a Stati Uniti (2,8) e Regno Unito (5,3)». Riguardo alle entrate lorde totali, l’analisi della Rand riporta che ovviamente quelle maggiori le ottengono «i fornitori in Nord America, Europa e Australia, anche se operano da dozzine di altri Paesi». Anche nell’online, questi continenti costituiscono quindi il maggiore e più redditizio mercato per le sostanze psicoattive.
Guardando le entrate mensili per singolo venditore, al primo posto figurano quelli australiani, particolare che «non sorprende dato il prezzo di strada delle droghe illegali sproporzionatamente alto in Australia, rispetto a quello di altri Paesi», scrive ancora la Rand. Seguono Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Paesi Bassi. Altre considerazioni da fare possono essere «il migliore accesso ai computer e alla rete da parte dei Paesi ad alto reddito, che può garantire loro un vantaggio nell’essere presenti sui market delle darknet rispetto ai venditori di nazioni più piccole e povere». C’è poi la lingua: quella ufficiale è l’inglese, anche se negli anni è comparso qualche piccolo market in altri idiomi, particolare che potrebbe favorire gli utenti anglofoni o quelli di Paesi con un’alta percentuale di persone che lo conoscono.
Infine le “strategie” dei clienti, i quali potrebbero cercare di «ridurre i loro rischi (come perdita dei pacchi, intercettazione da parte delle autorità o arresti), ricorrendo alla vendita o all’acquisto che prevede la spedizione direttamente dal loro Paese di residenza». Questo potrebbe spiegare anche la percentuale relativamente bassa di venditori dell’Olanda, storicamente ritenuta una nazione in cui si trovano sostanze di buona qualità. Tanto che 4.464 annunci (l’8,3%) pubblicizzano «droghe olandesi» spedite da altre nazioni, quali Belgio, Germania, Francia e Regno Unito. Vari intervistati dalla Rand ricordano infatti che «i Paesi Bassi sono sempre più nel radar dei funzionari di frontiera di altri Paesi, come quelli australiani che riferiscono di effettuare lo screening del 100% dei pacchetti in arrivo dall’Olanda». Ritenendo così «probabile che altre nazioni adottino analoghe politiche di crescente vigilanza (…) anche Stati Uniti, Canada e Finlandia sono stati menzionati come Paesi in cui sono state introdotte rigorose pratiche di scansione» della corrispondenza in arrivo.
* Giornalista esperto di narco-Stati, narcomafie e nuove tecnologie