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Roma, 10 mar. (Adnkronos Salute/Ign) - Tanta confusione e pochi controlli per gli adolescenti maschi, alle prese con il sesso. E alcuni ricorrono a pericolosi rimedi 'fai da te' per migliorare le prestazioni sotto le lenzuola. Secondo un'indagine condotta su mille teenager nelle scuole laziali, infatti, a 18 anni il 72% non ha mai fatto una visita di controllo mirata, "e il 71% non saprebbe a chi rivolgersi in caso di problemi, incerto addirittura tra l'antropologo, confuso con l'andrologo, e l'ortopedico, perché 'si tratta di un osso'". Lo spiega Giuseppe La Pera, presidente dell'Aidass (Associazione italiana per il diritto alla salute sessuale), che oggi a Roma ha presentato una petizione per la salute sessuale dei giovanissimi italiani.

"Un progetto pilota per il Lazio, che speriamo si estenda alle altre Regioni, 'disegnato' al maschile - dice La Pera - perché in questo campo i ragazzi non hanno gli stessi diritti delle ragazze, quanto a diagnostica e prevenzione. Ecco perché chiediamo una legge regionale che metta fine a questa disparità di trattamento". L'iniziativa punta ad offrire ai teenager un servizio gratuito di prevenzione e diagnostica, grazie alla creazione di una rete di controllo, "il cui primo possibile interlocutore sia rappresentato dal medico di famiglia". In caso di problemi, infatti, il 51% dei ragazzi ha detto che si rivolgerebbe al medico di famiglia, secondo solo ai genitori.

Al terzo posto figura lo specialista, mentre un 'peso' nettamente inferiore viene dato ad amici, fratelli o insegnanti. Non solo, nella petizione - che punta a raccogliere la firma di 10.000 cittadini - si chiede una visita gratuita preventiva all'apparato genitale per tutti i ragazzi tra i 14 e i 18 anni. E la creazione di una serie di strutture pubbliche andrologiche in tutti gli ospedali e nelle Asl.

"In passato la visita di leva aveva permesso di rilevare come circa il 70% dei ragazzi, a quell'età, presenta patologie più o meno gravi". "Il 28% degli uomini soffre di varicocele, il 22-24% di eiaculazione precoce e 3 milioni e mezzo di italiani di disfunzione erettile - sottolinea Vincenzo Gentile, presidente della Sia (Società italiana di andrologia), plaudendo all'iniziativa - per non parlare della diffusione delle malattie sessualmente trasmesse".

Un'indagine condotta nel 1997, proprio in occasione della visita di leva, su oltre 11.000 ragazzi, "aveva permesso di scoprire che solo il 27% non aveva patologie. Dunque sette su 10 presentavano problemi che, in alcuni casi, mettevano a rischio la fertilità. Oggi però questo controllo 'obbligatorio' non si fa più". E gli stessi giovanissimi, a differenza delle coetanee, non sanno a chi rivolgersi, in caso di problemi. "E da questo punto di vista la situazione non è migliorata. Solo attraverso un impegno congiunto sarà possibile - dice La Pera - evitare gravi conseguenze sanitarie e sociali legate a diagnosi tardive". E per firmare la petizione si può cliccare sul sito www.aidass.it.

La 'solitudine' legata al sesso ha anche un risvolto pericoloso. E il presidente dell'Aidass lancia l'allarme. "C'è chi rinuncia all'intimità e soffre in silenzio, e chi mette in atto comportamenti pericolosi. Sappiamo che alcuni ragazzi ricorrono alla cannabis, o addirittura all'eroina, per contrastare l'eiaculazione precoce. Insomma, per migliorare la prestazione", sottolinea Giuseppe La Pera. Secondo l'esaperto "i genitori devono parlare di più di questi temi. Nella mia esperienza spesso sono le madri ad accorgersi che qualcosa non va per il verso giusto. I papà devono fare di più", sottolinea ancora. "Anche perché a quell'età scatta la competizione padre-figlio, ed è per primo il genitore a imbarazzarsi nel dover parlare di queste cosa".

Il silenzio non è la strada giusta, dice La Pera. "Occorre vincere la reticenza, smettere i panni di super-padre e parlare al proprio figlio di dubbi, insuccessi e difficoltà sperimentati in prima persona. Questo aiuta i ragazzi a esporsi, a parlare". Altrimenti, conclude l'andrologo, c'è il rischio che si cerchi di risolvere eventuali problemi con il passaparola o, peggio, con rimedi 'fai da te'.

 

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Invasi dalla droga. Su nuove rotte

(avvenire.it) E' la "terra-spartiacque" fra due universi: quello della mancanza e quello dell’eccesso, tra il Sud e il Nord del mondo. È questo a rendere il Centroamerica un concentrato di contrasti netti. Sempre più violenti. Negli ultimi anni, "la frontiera si è trasformata in llaga sangrienta (ferita aperta), come ha da poco scritto l’autore messicano Carlos Fuentes.

 

I numeri dell’ultimo rapporto dell’Organizzazione degli Stati americani sono agghiaccianti. Nella regione ci sono oltre 40 omicidi ogni centomila abitanti. Con punte massime in Salvador – dove gli assassinii sono 55 – Giamaica – 49 – e Guatemala – 45. La cifra più alta al mondo. Tra i giovani, poi, il tasso di violenza aumenta esponenzialmente: le vittime sotto i 24 anni in Salvador sono 92 ogni 100mila abitanti. Le Nazioni Unite hanno calcolato che il 75 per cento dei sequestri del Pianeta si verifica in America centro-meridionale.

L’attuale esplosione di criminalità in questi Paesi è legata al fatto di essere diventati il principale luogo di transito della droga nel suo viaggio verso l’Occidente. Il punto di partenza è più a Sud, nella parte meridionale del Continente, autentica "fabbrica" di stupefacenti del Pianeta. Nel 2008, secondo l’ultimo rapporto del Dipartimento droga e criminalità dell’Onu (Unodc), l’America Latina ha prodotto circa 36mila tonnellate di cannabis, un terzo del totale. Ogni anno, poi, qui vengono raffinate tra le ottocento e le mille tonnellate di cocaina, cioè praticamente tutta la "polvere bianca" in circolazione.

Per motivi ambientali e storici, le coltivazioni di piante di coca sono concentrate nella regione andina, dove si estendono per circa 168mila ettari. La Colombia produce da sola la metà della cocaina disponibile. Il resto viene ricavato in Perù e Bolivia, che immettono nel mercato illegale rispettivamente il 36 e 13 per cento di questa sostanza. La maggior parte degli stupefacenti, però, non viene venduta in loco. Gli alti prezzi rendono la polvere bianca inaccessibile alla maggior parte dei cittadini del Sud del Mondo. Oltre undici dei circa venti milioni di dipendenti da cocaina – sempre secondo dati Onu – risiedono in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti. Nell’emisfero settentrionale si trovano anche sessanta milioni di consumatori abituali di cannabis. Sempre Messico, Colombia e Guatemala, poi, riforniscono di eroina 1,3 milioni di tossicodipendenti nordamericani. La droga non arriva direttamente a destinazione. Per eludere i controlli, i corrieri la sottopongono a una lunga maratona attraverso nazioni e frontiere. Il traffico si snoda lungo varie direttrici geografiche, le cosiddette "narco-vie". La principale è il "corridoio centroamericano", attraverso cui la cocaina filtra dalla Ande verso gli Stati Uniti. Attualmente quasi tutta la polvere bianca destinata agli Usa – il 90 per cento – imbocca questo percorso. Ovvero risale il Continente via terra. Camion imbottiti di cocaina lasciano le zone produttrici e percorrono Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala fino al Messico. Da qui passano, attraverso la "porosa frontiera", negli Stati Uniti. In alternativa, la cocaina imbocca la "strada del Pacifico": parte dai porti colombiani e peruviani – o anche ecuadoriani verso i quali può essere agevolmente trasportata in auto – nascosta nella stiva dei pescherecci. Per "sbarcare" in Messico e raggiungere, via terra, il Nord.

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C’è un’altra dipendenza dagli effetti nefasti come quelli della droga, dell’alcolismo, ma alla stregua di queste, con ripercussioni sociali davvero pesanti ed allarmanti, parliamo della dipendenza dal gioco, che sia d’azzardo o meno poco importa, fatto sta che tale problema si sta ripercuotendo su fasce sempre più larghe della popolazione, colpendo anche i giovani.

 

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ho fatto richiesta a pontedera di conferma invalidità che mi porto dietro da anni or sono, la mia diagnosi è "epilessia parziale criptogenica farmacoresistente" di cui soffro da 30 anni, queste crisi hanno relazione con la parte vocale e hanno una durata di una decina di secondi durante i quali io sono perfettamente coscente non perdendo alcun tipèo di contatto con l'ambiente esterno, infatti durante qualche crisi capitata a lavoro nessuno si accorge di nulla anche perche capisco cosa mi viene detto e poi rispondo al termine della crisi poichè mi ricordo esattamente tutto.

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http://droghe.aduc.it/generale/files/image/2010/marzo/0004(17).jpgTra le antiche mura del Castello di Grinzane Cavour, nel cuore di uno dei più noti e suggestivi panorami viticoli d’Italia, è stato presentato il volume “La Verità sul Vino – Come, quando, perché il vino fa bene”, redatto dall’Osservatorio Nazionale sul Consumo Consapevole del Vino. La tesi dell’opera, sostenuta da una selezione di autorevoli studi scientifici internazionali, è che bere con moderazione giova alla salute: il resveratrolo, il più noto principio attivo presente nel vino, avrebbe infatti effetti positivi sul rallentamento del processo di invecchiamento delle cellule, sulla prevenzione del morbo di Alzahimer, sul miglioramento del controllo del diabete, oltre a proteggere il sistema cardiovascolare.

 

Da cosa nasce la necessità di difendere le proprietà benefiche dell’alcolico per eccellenza? Dall’allarme alcol che, diffondendosi spaventoso nelle coscienze dei cittadini attraverso gli allarmismi mediatici, rischia di trasformare la bevanda da sacra a diabolica.

 

E’ quindi ovvio che si corra ai ripari: demonizzare è pratica sempre ottusa, e difendere le proprie tradizioni un diritto.

 

Il punto è che è davvero istruttivo accostare questa levata di scudi in difesa di quella che è, a tutti gli effetti, una sostanza psicotropa (una droga), con il dibattito, ad esempio, sull’uso della marijuana terapeutica (o sulla sua liberalizzazione tout court).

 

Gli studi scientifici sugli effetti benefici della cannabis sono qualche migliaio, molti di più di quelli esistenti sugli esiti positivi dell’uso di alcol (ancor meno sul vino in particolare): essendo il consumo di alcol una componente normalizzata nelle abitudini alimentari e ricreative occidentali, raramente si è sentita la necessità di evidenziarne scientificamente i meriti; piuttosto, la scienza si è concentrata sui demeriti, spesso nell’ottica di stabilire scientificamente che l’alcol è a tutti gli effetti una droga, anche assai pericolosa, e che dunque sarebbe necessario rivedere i parametri attraverso cui si stabilisce scientificamente (non culturalmente o socialmente) cosa sia una droga e perché debba essere vietata (celebre in proposito l’articolo del professor David Nutt del 2007, completamente travisato a scopi mediatici dall’Independent).

 

A parità di evidenze, al THC dovrebbe essere riservato lo stesso trattamento del vino, se i dati scientifici avessero una qualche rilevanza. Non è così.

Nell’ambito degli studi sulle sostanze psicotrope, la scienza occupa costantemente un piano secondario, funzionale: è strumento di supporto a idee precostruite, non fonte di ispirazione. Se così fosse, tutte le sostanze con proprietà psicotrope sarebbero o vietate, o legalizzate (magari sotto prescrizione), e non assisteremmo agli atteggiamenti schizofrenici che costituiscono la normalità del rapporto droghe-società.

 

Gli estimatori e i produttori di vino sfoderano studi scientifici per difendere le proprie legittime tradizioni, e possono farlo perché si muovono in un contesto in cui consumo di alcol è assolutamente condiviso, per quanto in discussione. L’apporto scientifico è un valore aggiunto, è il linguaggio più utile da utilizzare con un’audience che, in fondo, s’attende solo conferme.

 

Per la marijuana e i suoi derivati non vale lo stesso discorso. La scienza, che ha già ampiamente dimostrato come un consumo consapevole e moderato di THC non conduca ad alcuna controindicazione degna di nota (non esiste nemmeno la possibilità di overdose), e anzi possa risultare efficace nel contrastare gravi patologie o comunque nella terapia del dolore, resta impotente. La decisione è a priori: nell’immaginario collettivo la cannabis è una droga, nociva per definizione. Le nozioni scientifiche rimbalzano contro un muro di gomma, e tornano al mittente.

 

Per inciso, almeno questo è quello che è accaduto per tutto il Novecento, perché sul nuovo millennio sta forse sorgendo l’alba di un nuovo di paradigma: proprio quando il muro di gomma si è fatto più solido, con l’inasprirsi della Guerra alla Droga, ha cominciato a mostrare le sue crepe. Negli Stati Uniti, leader dell’ideologia antidroga più bellicosa e intransigente, la situazione sta lentamente cambiando, e la marijuana terapeutica si sta diffondendo sempre più ampiamente. Inoltre gli economisti, che sono gli unici scienziati sociali la cui parola può divenire legge, si stanno rendendo conto della danarosa follia delle politiche vigenti in materia di lotta alla droga.

 

Per adesso, però, prima valgono ancora l’immaginario collettivo e gli interessi politici ed economici. Poi, staccata di diverse lunghezza, arranca la scienza.

 

La questione droga resta culturalmente determinata, e costantemente relativa: ogni società è gelosa delle proprie sostanze e impaurita da quelle aliene, e non c’è scienziato che tenga. L’immaginario drogastico è legato all’irrazionale, all’emotivo, al mistico e al religioso. Per questo l’oggettività scientifica non occuperà mai una posizione dominante, a meno che le sue affermazioni non siano coerenti con le decisioni già prese, a volte millenni prima, dal sistema culturale.

 

Ogni cultura “difende” le proprie droghe. L’alcol è un esempio, ma potremmo anche riferirci al khat (o qat) consumato abitualmente nel Corno d’Africa e in Yemen, o la coca rivendicata come pianta tradizionale da Evo Morales, in Bolivia. Che lo si rifiuti o meno, le sostanze psicotrope sono state nella storia e sono tuttora fondamentali nel definire una cultura e un’identità condivisa: una tradizione, insomma. I difensori del vino si mobilitano così in tutela di una pratica che investe non solo i riti secolari e le relazioni sociali che orbitano intorno al bicchiere, ma anche la conoscenza millenaria, artigiana, che sostiene la produzione di vino, e persino l’appartenenza della vite ad alcuni celebri paesaggi italiani, che davvero non sarebbero ugualmente deliziosi se privati dei viticci. Un patrimonio, insomma: altro che una droga. Ed è sacrosanto. Come è sacrosanto che Morales difenda la coca e i Rastafariani la cannabis. Solo che coca e cannabis sono illegali, perché non appartengono alla cultura dominante.

 

Ogni cultura ha la sua droga, ben integrata nei processi sociali e mantenuta sotto controllo mediante la prassi maturata da tradizioni millenaria, e integrata nelle credenze religiose. Fintanto che i sistemi culturali coincidevano con i confini geografici che li contenevano, e le sostanze restavano entro questi confini, vale a dire dove risiedevano anche le “istruzioni” per utilizzarle senza pericoli, tutto funzionava a meraviglia. Poi è arrivata l’epoca coloniale, da cui la globalizzazione. Le sostanze hanno cominciato a varcare i confini territoriali e raggiungere luoghi lontani, in cui si sono trasformate in qualcosa di molto simile alle pestilenze (pensiamo all’alcol per gli indiani d’America, o ai derivati dell’oppio in Occidente), proprio perché la merce droga viaggia molto più rapidamente delle tradizioni utili a tenerla sotto controllo, ed utilizzata per scopi ben diversi da quelli originari (medico-religiosi).

 

Ecco, anche, contro cosa lottano i difensori del vino. L’invasione di campo. Il rischio che l’incontrollabilità di sostanze che giungono da lontano, senza controllo, rendano incontrollabile anche il consumo del nostro vino. Che il vino diventi una “droga” come un’altra, perdendo per strada tutte quelle prassi maturate nei secoli e utili a proteggere i consumatori dai suoi pericoli.

 

Peccato che la difesa del vino non sia in realtà consapevole di questi aspetti, e spesso si riduca alla tutela di una fonte di guadagno. E peccato anche che ad altre sostanze non sia concessa la stessa opportunità.

 

di Luca Borello, su ADUC DROGHE

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Cgil: né guida etilica né Stato etico

Fuoriluogo.it - Dopo i sette autisti ATM sospesi per positività ai test antidroga ecco il commento di Giuseppe Bortone, responsabile tossicodipendenze Cgil nazionale

 

Sono sette gli autisti dell’Atm sospesi recentemente dalla guida perché trovati positivi ai controlli sull’assunzione di sostanze psicoattive illegali. Un campione selezionato, in Francia, di autisti di camion compresi fra i diciotto e i venticinque anni dava l’11% di consumatori di derivati della cannabis e il 4% di oppiacei.

Si è dunque appena aperto, e non sappiamo ancora con quali conseguenze, il vaso di Pandora incautamente voluto da chi ha deciso, nel 2007 (Ministero della Salute) e nel 2008 (Dipartimento governativo antidroga, cioè Giovanardi) di controllare e sanzionare i consumatori “anche sporadici” compresi in una fascia assai estesa di lavoratori con mansioni “che mettono a rischio altre persone”: essenzialmente, per ora, i lavoratori dipendenti che conducono automezzi, pubblici e privati, e quelli che trattano sostanze pericolose (nucleare, gas, esplosivi). Eppure, al di là delle facili demagogie, le statistiche – e la cronaca – ci dicono che quasi tutti gli incidenti mortali legati al consumo di sostanze psicoattive dipendono da quella, fra le sostanze stesse, che non solo è pienamente legale, ma è anche ampiamente pubblicizzata: l’alcol.

Che faranno allora le Regioni e i sindacati, ora che le normative in questione (contro il parere unitariamente espresso dai sindacati stessi) sono state comunque approvate? Cercheranno, è il caso di dirlo, di “ridurre il danno”, e quindi: chi usa il metadone come medicinale, ed è abilitato alla guida dal Sert di riferimento, non deve essere sanzionato. I derivati della cannabis lasciano tracce per settimane anche nelle urine, dunque è follia colpire il mero consumo “in ogni caso” (non posso guidare a settembre perché mi sono fatto una canna a Ferragosto?). I test sul capello (sui quali specificamente ha insistito Giovanardi) riscontrano l’uso di sostanze anche dopo mesi, perciò non hanno nessun rapporto con “l’idoneità alla mansione nel momento in cui viene espletata”: ed è quest’ultimo il vero concetto-chiave per la prevenzione degli incidenti, piuttosto che quello di “stile di vita in generale” (il quale, in questo specifico contesto, risulta moralistico più che preventivo).

Le attività che, invece, devono essere realmente “generali” sono la prevenzione stessa e l’informazione sulle sostanze psicoattive e sui loro rischi: esse vanno sviluppate con risorse certe e accresciute, nei confronti di tutti i lavoratori.

Inoltre le “categorie a rischio” non possono allargarsi all’infinito, includendo, ad esempio, tutti coloro che usano i carrelli per il trasporto all’interno di una fabbrica.Infine i lavoratori tossicodipendenti – o comunque abusatori di sostanze in una misura che mette a rischio “l’idoneità alla mansione” – esistono, eccome: ma allora devono essere assistiti invece che sanzionati, sottraendoli ai compiti più rischiosi, come si dovrebbe fare per ogni patologia accertata. A meno che non si pensi che in questo caso, oltre che la “patologia” c’è anche la “colpa”: ma saremmo allora – o forse siamo già, purtroppo – al famigerato “Stato etico”.

 

 

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Internet, dipendente il 13% degli adolescenti

Sono in prevalenza maschi tra gli 11 e i 14 anni. Usano la rete soprattutto per il gioco d’azzardo, attività legate al sesso e per una socializzazione patologica. Lo psicoterapeuta Vallario: “Questi giovani hanno perso il rapporto con la realtà"

GROSSETO – Internet crea dipendenza come l’alcol, il fumo e il gioco d’azzardo. Il 13% degli adolescenti italiani (in prevalenza maschi tra gli 11 e i 14 anni) è affetto da I.A.D. (Internet Addiction Disorder) e si ritrovano ad avere sintomi e comportamenti del tutto simili a quelli causati dalle sostanze psicoattive. E’ quanto è emerso dal convegno “Naufraghi nella rete. Adolescenti e abusi mediatici” tenuto a Grosseto questa mattina e organizzato da U.F. Dipendenze area grossetana in collaborazione con Cesvot e associazione Ofelia, per puntare i riflettori sull’allarme sociale provocato da questa nuova patologia fortemente in crescita in tutto il mondo occidentale.Le giovani donne cercano rifugio nel cibo e i giovani uomini nel computer. In una società sempre più complessa e fagocitante in cui ogni giorno le esperienze e le conoscenze si amplificano, dove i media presentano continuamente nuovi modelli di riferimento, valori e stili di vita alternativi, ecco che emerge negli adolescenti un senso di incertezza, di smarrimento e la necessità di trovare il proprio posto. Secondo Luca Vallario, psicologo, psicoterapeuta e autore del libro ‘Naufraghi nella rete. Adolescenti e abusi mediatici’, da cui deriva il nome del convegno, “il mondo virtuale propone copie del reale indolori e comode e crea una scorciatoia priva del pedaggio problematico e sofferto dell’adolescenza”. Da qui nasce l’abuso di internet che secondo recenti stime riguarderebbe il 13% dei giovani. Una cifra importante se si considera che i ragazzi coinvolti in disturbi del comportamento alimentare, fenomeno che riguarda soprattutto il mondo femminile, sono circa il 10%.Continua Vallario: “In letteratura si tende a considerare come patologica la soglia delle 36 ore settimanali ma occorrerebbe fare uno studio più approfondito per stimare non solo la quantità ma anche la qualità del tempo passato on-line. Molti navigano per lavoro o per studio, altri per giocare, socializzare o mantenere i contatti con gli amici. I giovani dipendenti da internet lo usano soprattutto per il gioco d’azzardo, attività legate al sesso e per una socializzazione patologica. Il convegno non vuole essere una crociata contro la rete ma un evento per promuoverne un uso critico e consapevole. Gli adolescenti affetti dall’Internet Addiction Disorder sono giovani che hanno perso il rapporto con la realtà e la migliore terapia possibile è un approccio integrato tra medici e psicologi per riannodare questo legame perduto”. Per il 2012 è prevista l’uscita della quinta edizione del Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders), uno degli strumenti più utilizzati per la diagnosi dei disturbi mentali al punto che è noto anche come la ‘Bibbia di Psichiatria’. Lo Iad non era presente nell’ultima edizione – risalente al 2000 – ma con tutta probabilità sarà annoverato tra le patologie della prossima pubblicazione entrando a tutti gli effetti nella lista dei nuovi disturbi del nostro secolo. (Virginia Friggeri)

 

fonte: redattore sociale

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http://droghe.aduc.it/generale/files/image/2010/marzo/0004(15).jpgAduc Droghe - Fra gli studenti si e' diffusa la moda di ricorrere ad 'aiutini' chimici: 'smart drug' acquistabili online senza ricetta, ovvero prodotti farmaceutici per il potenziamento cognitivo, spesso studiati e sperimentati per scopi ben diversi da quelli degli aspiranti primi della classe. Sempre piu' studenti, secondo gli esperti, si auto-prescrivono pillole e sciroppi, acquistano illegalmente prodotti in Rete e si scambiano suggerimenti sui migliori cocktail di pillole per ottenere buoni voti. Ad accendere i riflettori sul fenomeno, almeno in Gran Bretagna, e' stato in questi giorni l'annuncio che l'ex ministro della Salute, Lord Darzi of Denham, e' a capo di uno studio in corso all'Imperial College di Londra. La ricerca punta a far luce sugli effetti di smart drug salva-voti per la salute dei giovanissimi. Paventando pesanti rischi per il benessere e lo sviluppo dei ragazzi. Si tratta di molecole usate da anni per il trattamento di condizioni come l'iperattivita' e il deficit di attenzione (Adhd) e la narcolessia, rivelandosi sicuri. Ma nessuno, sottolineano alcuni ricercatori sul quotidiano 'Daily Mail', ha controllato gli effetti dell'uso 'caotico' di questi prodotti in ragazzi sani, che prendono dosi 'fai da te' di medicinale per accrescere le loro capacita' intellettive. Secondo alcuni esperti questo tipo di impiego potrebbe riflettersi pesantemente sul cervello ancora in fase di sviluppo dei ragazzi, con il rischio di dipendenza o danni permanenti. Cosi', sognando voti alti e una memoria di ferro, molti ragazzi non esitano a buttare giu' pillole studiate per trattare malattie come Alzheimer o Parkinson.

 

 

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Un nuovo piano del Governo per debellare l'uso di droghe prevede un test anti-droga obbligatorio per l'esame della patente automobilistica o - semplicemente - per guidare un motorino

La puntata di Annozero con Morgan ospite ha destato parecchio scalpore. Tanto da spingere il Governo a proporre misure restrittive per impedire che chi assume droghe si metta alla guida e diventi un pericolo per sè eper gli altri. Il Sottosegretario responsabile del dipartimento nazionale antidroga - Carlo Giovanardi - ha dichiarato che le misure di sicurezza per chi vuole patentarsi saranno molto rigide.

 

Tutti saranno sottoposti ad un test anti-droga per stabilirne l'idoneità alla guida. Una reazione che è di risposta alla trasmissione di Santoro che - secondo le parole di Giovanardi rilasciate al Corriere della Sera - avrebbe dato vita ad una puntata scandalosa parlando di droga con il cantautore Morgan.

 

Lo scopo del Governo è quello di prevenire drasticamente le stragi del sabato sera evitando le cause che più affliggono gli incidenti che tolgono la vita a molti giovani i quali - troppo spesso - non sono lucidi dopo una serata in discoteca. Alcool e droghe su tutti.

 

Giovanardi ha stabilito anche un provvedimento che prevede la chiusura dei locali alle 4 e la vendita di alcool sospesa un'ora prima.

 

Certo il test anti-droga diventi obbligatorio per i neopatentati potrà anche essere una buona misura educativa, ma dopo la patente?

 

Fabrizio Di Meo